Nel 1937 arrivò nelle sale il film Biancaneve e i sette nani, tratto dall’omonima fiaba dei fratelli Grimm. Walt Disney modificò leggermente la trama, e soprattutto diede un nome ai sette nani, di fatto creandoli come personaggi autonomi: Dotto (Doc), Gongolo (Happy), Eolo (Sneezy), Cucciolo (Dopey), Brontolo (Grumpy), Mammolo (Bashful) e Pisolo (Sleepy).
Il nano più curioso è Cucciolo, il cui nome originale significa addormentato, poco sveglio. È il nano più giovane e non parla.
Si narra che il motivo del suo silenzio sia l’insoddisfazione di Disney per i doppiatori: non si riusciva a trovarne uno adatto e perciò decise di renderlo muto.
La spiegazione narrativa è invece di una poesia notevole: non ha mai provato a parlare.
Lo scenario che si configura è ben diverso.
Prendiamo ad esempio una abilità qualsiasi, ad esempio giocare a scacchi. Possiamo dire che una persona sa giocare oppure che non ne è in grado, ma anche che non ha mai provato. La differenza tra i due ultimi casi è evidente: chi non ha mai provato potrebbe imparare, mentre invece chi non sa, evidentemente, non è portato per gli scacchi e non diventerà mai un giocatore.
Cucciolo quindi potrebbe parlare benissimo: solo non ne ha voglia, non ne ha mai avuto voglia.
Il problema qui è che imparare a parlare non è come imparare a giocare a scacchi: non si sceglie di parlare, semplicemente si inizia ad emettere suoni più o meno articolati. La differenza tratteggiata per gli scacchi può al massimo valere per una seconda lingua, ma non per il linguaggio in generale.
La geniale intuizione potrebbe in realtà non risalire a Walt Disney: in alcune versioni si riporta che Cucciolo non ha mai imparato a parlare, e il significato di questa espressione è, appunto, ben diverso e più banale. Non ho modo di controllarel a versione originale, per cui l’idea di non provare a parlare potrebbe risalire ad alcune storie a fumetti pubblicate, anni dopo, in Italia su Topolino.