A Udine si è tenuto un convegno organizzato dalla FNOMCeO, orribile acronimo per la Federazione Nazionale Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Etica di fine vita: percorsi per scelte responsabili.
Durante il convegno sono stati presentati i dati preliminari del questionario Itaeld (altro discutibile acronimo: Italian End of Life Decision study) sul comportamento dei medici nei confronti dei pazienti senza speranza di vita.
Il dato che più di tutti ha impressionato i giornalisti, per altro abbastanza annoiati dalla vicenda, è che lo 0,7% ha ammesso di aver intenzionalmente abbreviato la vita del paziente tramite farmaci.
Per la cronaca: al questionario, rigorosamente anonimo, hanno risposto 2674 medici, il 18,2% di quelli interpellati. Ciò significa che a meritare il titolo è stata la risposta di circa diciotto medici.
Ad ogni modo, secondo questo studio abbiamo sette possibilità su mille di incontrare un medico disposto a praticare l’eutanasia. E, soprattutto, una possibilità su due che questo medico non ci comunichi la diagnosi.
Il tema chiaramente è delicato: il medico deve chiaramente valutare se il paziente è in grado di affrontare e gestire una situazione decisamente estrema e deve ovviamente trovare il modo migliore per informarlo, e non sempre c’è la possibilità di fare tutto ciò. Tuttavia una percentuale di mancate comunicazioni così alta dovrebbe far pensare.
Quando i medici parlano, come da titolo del convegno, di percorsi per scelte responsabili, di quale responsabilità stanno parlando? Non di quella del paziente, a quanto sembra: che razza di scelta responsabile si può fare, se si ignora il proprio stato di salute?
Grazie a Inyqua per la segnalazione dei dati preliminari del questionario.
Sono favorevole all’eutanasia. Sono sfavorevole alla pratica dell’eutanasia senza il consenso del paziente. Nessuno può prendersi la briga di decidere per gli altri. E se il paziente non fosse in grado di decidere? L’eutanasia sarebbe comunque accettabile in quanto una persona che non è più in grado di ragionare e pensare è già morta.
Uhm… se intendi la morte cerebrale, sono d’accordo, se intendi altro trovo la tua definizione quantomeno discutibile.
Un conto è essere una persona, un altro è essere vivi.