Riassunto: al mondo esistono troppi libri e occorre trovare un modo per stabilire quali libri è bene leggere e quali, invece, bruciare.
Dopo Socrate, vediamo cosa riusciamo ad imparare da un altro grande nome della filosofia: Cartesio.
Nel Discorso sul Metodo, pubblicato anonimo nel 1637, Cartesio trae alcuni bilanci su quanto appreso frequentando una delle migliori scuole d’Europa:
Appena compiuto l’intero corso di studi al termine del quale si suole essere accolti nel rango dei dotti (…) mi ritrovai impacciato da tanti dubbi ed errori che mi sembrava di non aver ricavato altro profitto, cercando di istruirmi, se non di avere scoperto sempre di piú la mia ignoranza. (…)
Cartesio inizia dove Socrate aveva finito: dalla scoperta dell’ignoranza.
Leggere i libri antichi è come conversare con le più illustri menti dei secoli passati, ma si rischia l’ignoranza del presente. Le favole svegliano l’ingegno e ci insegnano ad agire rettamente, ma presentano come verosimili eventi che in realtà non posso accadere. I libri che trattano di etica sono ricchi di esempi edificanti e di esortazioni alla virtù, ma possono spingere a sovrastimare le proprie possibilità. L’eloquenza e la retorica rendono i discorsi belli e forti, ma i discorsi forti e belli hanno meno importanza di quelli chiari e intelligibili. La teologia insegna a guardare il cielo, ma a condurci fino ad esso sono le verità rivelate che superano la nostra intelligenza. La medicina e le altre scienze portano onore e ricchezza, ma sono prive di solide fondamenta. La matematica ha invece solide fondamenta, è il regno della certezza, ma sopra di esse si è edificato ben poco.
Per questo, non appena l’età mi liberò dalla tutela dei precettori, abbandonai del tutto lo studio delle lettere. E avendo deciso di non cercare altra scienza se non quella che potevo trovare in me stesso oppure nel gran libro del mondo, impiegai il resto della giovinezza a viaggiare. (…) Perché mi sembrava che avrei scoperto molta piú verità nei ragionamenti che uno fa sugli affari che lo interessano, e il cui esito punisce ben presto chi ha mal giudicato, che in quelli dell’uomo di lettere, chiuso nel suo studio, immerso in speculazioni senza effetto, e che non hanno per lui altra conseguenza se non che ne trarrà forse una vanità tanto maggiore quanto piú saranno distanti dal senso comune, perché in questo caso avrà dovuto impiegare piú ingegno e piú artifici per renderle verosimili.
Cartesio dunque consiglia di leggere di tutto un po’, ma senza dedicare troppo tempo alla lettura, perché il mondo è sicuramente più interessante e istruttivo dei libri, dal momento che un il mondo è reale e tende a punire chi sbaglia, contrariamente a quanto avviene nella comunità dei dotti.
Tuttavia neppure viaggiando si trovano solide verità. Si scoprono invece usi e costumi insoliti per alcuni e perfettamente naturali per altri, e si impara così la giusta diffidenza verso ciò che è appreso per semplice abitudine, liberando così il proprio lume naturale da molti errori.
Superati i libri e il mondo, l’unica fonte di conoscenza che rimane a Cartesio è se stesso. Ma a questo punto conviene lasciare Cartesio alle sue meditazioni e chiudere qui l’esame della sua filosofia: neppure nel Discorso sul metodo si è trovato un criterio utilizzabile per scegliere cosa leggere e cosa lasciare ammuffire nelle biblioteche.