Li capisco perfettamente, quelli che – occupandosi con passione e competenza di comunciazione scientifica – sono adesso impegnati a smorzare i facili entusiasmi di chi è già lì a immaginarsi pianeti con civilità aliene e future sedi di colonie terrestri. Dei sette esopianeti che orbitano la stella TRAPPIST-1, non si è nemmeno sicuri che abbiano acqua allo stato liquido o un’atmosfera…
È che con queste suggestioni certo la scoperta si vende meglio, e la Nasa lo sa, visto che propone non solo una ricostruzione (artistica, ovviamente) di uno dei pianeti:
ma addirittura realizza un manifesto rétro di una possibile vacanza sul quarto pianeta del sistema:
Capisco che di fronte a tutto questo, e a dire il vero già di fronte a scelte terminologiche come “super-Terra” che evocano molto di più di quello che in teoria dovrebbero significare, gli inviti alla cautela siano quasi un obbligo.
Proviamo però a prendere la faccenda da un altro punto di vista.
È bello immaginare di salire su un’astronave e visitare un mondo a 40 anni luce da qui, ma abbiamo davvero bisogno di questo, per meravigliarci? Voglio dire, siamo riusciti a scoprire che, intorno a una stella che si trova a centinaia di migliaia di miliardi di chilometri (se ho fatto giusti i conti) e che non è neanche visibile a occhio nudo, ruotano sette pianeti, determinandone massa, dimensione e distanza dal loro sole. E non solo: si sta cercando di studiare – ripeto, a miliardi di chilometri di distanza – la composizione della loro atmosfera (ammesso che ce l’abbiano). Solo qualche secolo fa, tutto quello che potevamo fare era scrutare il cielo a occhio nudo.
Non mi pare poco. Anzi.
Ci si abitua a tutto purtroppo è non ci si meraviglia più di niente. Borges diceva che quando il sovrannaturale accade due volte smette di essere sovrannaturale. Basterebbe sostituire meraviglia a sovrannaturale…
Fabristol, hai scoperto finalmente Borges? Sono contento!
L’ho scoperto quando avevo 17 anni circa. 😉
Ah, ok, scusa, è che recentemente te l’ho visto citare un paio di volte a fila… 😉
Non per contraddire Borges, ma forse il problema, qui, non è che le cose capitano due o duecento volte, ma che raccontarle bene è più difficile che immaginare viaggi interstellari…