Rispondere alla domanda “chi sono io?” è difficile, e di questo si è già scritto. Ma è forse ancora più difficile cercare la risposta alla domanda “chi siamo noi?”.
Scomponendo la domanda, si isolano due questioni distinte, due diverse difficoltà: una più teorica che pratica, l’altra più pratica che teorica.
Chi siamo noi?
Ogni individuo è, come individuo, una persona sola, ma da un punto di vista sociale è più persone diverse: ad esempio, un abitante di una certa città, un lavoratore in un certo settore, un praticante di certe attività eccetera. Così noi può valere ora per i milanesi o i palermitani, ora per gli avvocati o i bibliotecari, ora per i giocatori di tennis o di scacchi, e così via. Come tracciare il confine?
In realtà questo è, per fortuna, un falso problema: nella pratica ci sono pochi dubbi. Il problema del noi è quasi esclusivamente teorico.
Chi siamo noi?
È più arduo dire chi si è. Il noi precedentemente delimitato, da cosa è unito? Dove occorre guardare per capire in cosa si è uguali, in cosa si è simili, in cosa si è diversi, in cosa si è originali?
Il centro dell’uomo é l’ombelico: è il punto di equilibrio, da lì si ricostruisce tutto. Ma non si può costruire una identità limitandosi ad osservare il proprio ombelico, lasciandosi trasportare dal gioco delle proporzioni dimenticando che l’ombelico è la traccia del legame con il mondo esterno, è il ricordo della nostra origine.
Una identità che ignora tutto ciò, una identità ombelicale, sarebbe infatti fragile, incapace di reagire al confronto con l’altro.
È questo il nocciolo della questione: gli altri. Riferirsi agli altri significa attuare un confronto, una relazione. Le relazioni arricchiscono: in un confronto il pensiero si muove, nel discutere con l’altro e dell’altro si discute se stessi, e forse si arriva a chiare meglio la propria identità.
Ma se non si è preparati, se si è fragili, le relazioni possono impoverire: se prevale la paura, la diffidenza, se si guardano gli altri a partire dal proprio ombelico, si diventa la caricatura di se stessi, perdendo la propria identità.
I primi a pagare questa degenerazione di se stessi sono i simboli. Un simbolo rappresenta un messaggio, un valore in grado di raccogliere, di unire; un simbolo è la storia che tutti sentono propria. Ma il simbolo può degenerare e diventare arma, oggetto di lotta, di aggressione contro il diverso, contro il nemico.
Diffidare di chi ostenta simboli: anche se dice di voler ritrovare se stesso, in realtà si sa smarrendo nel suo ombelico.