È uscito il Manifesto della comunicazione non ostile, o meglio una sua bozza, il cui scopo – cito dal sito – è “ridurre, arginare e combattere le pratiche e i linguaggi negativi della Rete”.
Ecco i punti, numerati:
- Virtuale è reale. Non dico o scrivo in rete cose che non avrei il coraggio di dire di persona.
- Si è ciò che si comunica. Le parole che scelgo raccontano la persona che sono: mi rappresentano.
- Le parole danno forma al pensiero. Mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso.
- Condividere è una responsabilità. Condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi.
- La vera condivisione è condivisione del vero. Controllo sempre che le notizie che condivido siano vere e corrette.
- I dialoghi chiedono reciprocità. Scelgo di usare le parole con cui vorrei che ci si rivolgesse a me.
- Prima di parlare bisogna ascoltare. Nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura.
- Dissentire non significa offendere. So esprimere opinioni e dissenso senza usare parole o toni ostili.
- Anche il silenzio comunica. Quando la scelta migliore è tacere, taccio.
Ho qualche problema con il punto 5: a me “la vera condivisione è condivisione del vero” pare solo un brutto slogan; non posso non chiedermi che cosa sia la “vera condivisione” – da contrapporre a una “falsa condivisione”? – e soprattutto come dovrebbe avvenire la verifica della verità e correttezza di quello che condivido. Insomma, mi pare sufficiente il punto 4: condividere è una responsabilità.
Ma il problema maggiore l’ho con il primo punto: “Non dico o scrivo in rete cose che non avrei il coraggio di dire di persona”. Ora, nel particolare contesto che ha portato a questa iniziativa – grosso modo, gli insulti sui social media – questo principio mi va benissimo; tuttavia mi pare che, già a partire dal nome, questo manifesto ambisca a una valenza più ampia, forse addirittura a tutta la comunicazione online.
Nel caso: sicuri che il requisito del “coraggio di dire di persona” sia opportuno? Io, lo ammetto, non so se avrei il coraggio di denunciare “di persona” un qualche abuso di potere, esponendomi – sempre “di persona” – ad eventuali ritorsioni o semplicemente a una indesiderata notorietà.
A volte non è questione di ostilità, ma di protezione.
hai ragione, l’1 è inutile quando c’è l’8.
Criticavo l’1 per altri motivi, ma in effetti sì, è inutile e in generale c’è una certa ridondanza. Chissà se la accettano come critica…
se la scrivi educatamente e ascoltando le loro ragioni, perché non dovrebbero?
Perché da quel che leggo sembrano accettare suggerimenti per nuovi principi, non correzioni alla bozza. Poi si voterà online
se partono già con il creepy featurism siamo messi male.
E’ un’operazione politica per dare visibilità all’organizzatrice, rosa russo, legata all’ex-corrente lettiana del Pd. La conosco.
Non cercare troppo senso in cose che sono un’autosponsorizzazione e che cercano solo di aprire la strada alla fantomatica legge per regolamentare le fake news e lo speech hate sul web.
Il punto uno si basa su una contrapposizione reale e virtuale che non è seria.
Ci può essere un’identità reale e una virtuale, ma la comunicazione non è ripartita in questo modo. C’è la comunicazione orale, orale faccia a faccia, pubblica senza replica, pubblica in dibattivo, c’è la corrispondenza pubblica e quella privata, etc.
La comunicazione sul web è solo un tipo tra i molti, ogni comunicazione è “reale”.
Pare quasi che l’autrice del manifesto intenda dare un valore positivo e regolativo al “reale” inteso come comunicazione de visu, un valore secondario e regolato al “virtuale” inteso come comunicazione sul web per poi ignorare ogni altra forma di comunicazione perché non sa come inquadrarla.
Ha senso? La comunicazione de visu è retta da forti regole sociali e da ruoli piuttosto rigidi.
I ruoli rigidi nella comunicazione hanno pro e hanno contro, non trovo che abbia gran senso dare loro un valore assoluto.
Ma ripeto, il manifesto pare una trovata politica per aprire la strada a norme sullo hate speech sul web e rendere socialmente accettata la censura morale del web.
Mah, per come la vedo io, un motivo in più per avere qualcosa di pulito e sensato.
Ma non per come la vedono loro. Se fai attenzione, ognuno di quei punti suona accattivante.
L’autrice principale è una comunicatrice: non stanno proponendo regole sulla comunicazione, stanno facendo marketing per un progetto di regolamentazione della comunicazione.
La coerenza non è indispensabile per pubblicizzare un prodotto, anzi!
Automobili che consumano come un condominio raffigurate in boschi incontaminati, immagini di birre bevute da donne magrissime, etc.
La pubblicità spesso esalta in modo entusiastico due cose desiderabili ma incompatibili proprio per nascondere la contraddizione.
un mesetto dopo (con la mia solita calma) ho scritto: http://xmau.com/wp/notiziole/2017/02/27/parole-o_stili-o-no/