Breve resoconto dell’incontro su Musica e spiritualità, tenutosi presso l’aula magna Università degli Studi – Milano Bicocca il 19 marzo 2006.
Il tema centrale dell’incontro, dedicato alla memoria di Alessandro Nangeroni, studioso e ricercatore di temi antropologici e religiosi, è la musica come linguaggio spirituale e quindi universale, segno di unione dei popoli. Gli organizzatori hanno giustamente pensato di inserire, tra un intervento e l’altro, degli interessanti momenti musicali e spirituali.
Il primo a prendere la parola è il maestro sufi Gabriel Mandel Khan. Il sufismo, la corrente mistica dell’Islam, è caratterizzato da un profondo rispetto verso tutti gli uomini e tutte le religioni: è un metodo islamico di miglioramento interiore. Il sufismo, nelle parole di Khan, è amore per la cultura e l’arte.
La musica è alla base del sufismo: è la guida dell’anima, è la cosa più vicina a Dio di cui l’uomo dispone.
Gabriel Mandel Khan conclude il suo intervento ricordando il suo amico Alessandro Nangeroni.
Vicino al sufismo è sicuramente Franco Battiato: la musica è un collegamento con qualcosa di superiore.
Questa funzione di ponte verso il soprasensibile non è tuttavia limitata al sufismo o in generale alle culture orientali: anche ascoltando l’occidentale Bach è possibile sentire Dio.
I mistici cercano questo: il contatto con Dio. Per questo i mistici, secondo Battiato, sono tutti uguali, siano essi musulmani, cristiani o buddhisti.
Battiato conclude commentando la pochezza delle argomentazioni di molti atei, che troppo spesso discutono di Dio e di religione senza sapere minimamente di cosa parlano.
Il momento musicale musulmano è dell’ottimo Trio Sharg Uldusù.
Dopo l’Islam, la religione più giovane, con “solo” millequattrocento anni di storia, è il turno della fede più antica, tra quelle che si affacciano sul mediterraneo: l’ebraismo.
A rappresentare l’ebraismo dovrebbe essere Moni Ovadia, dovrebbe perché il suo intervento inizia con una ammissione di inadeguatezza: non può parlare a nome dell’ebraismo, ma soltanto a nome suo, della sua esperienza e dei suoi interessi.
La spiritualità gli interessa in quanto fenomeno che coinvolge l’uomo e lo porta altrove.
Per spiegare il legame tra musica e spiritualità Ovadia descrive la figura di suor Marie Keyrouz, suora libanese bellissima e dotata di una voce ancora più bella. La potenza della sua voce viene dal fatto che lei, mentre canta, prega o, meglio, mentre prega canta: la sua voce non è solo qui, ma anche altrove.
La musica è un metalinguaggio in grado di toccare tutti i cuori, per questo è un linguaggio universale.
Purtroppo per problemi logistici Moni Ovadia non ha potuto cantare e ci si è dovuti accontentare di una registrazione.
Elio Franzini, nell’introdurre il momento filosofico dell’incontro, ricorda che i musicisti sono superiori ai filosofi in quanto i primi cantano mentre i secondi si limitano a parlare: la prosa nulla è rispetto alla poesia e alla musica.
La filosofia ha sempre riconosciuto alla musica un ruolo importante: è la via d’accesso all’interiorità, alla spiritualità, anche per filosofi non propriamente religiosi come Bergson.
La musica è simbolo, nel senso etimologico del termine: unione di ciò che è diviso, comunione di sensibile e soprasensibile. Unione che prende il nome di bellezza.
Il valore universale della musica, affermato in varie prospettive da tutti gli orator, viene invece a malincuore messo in discussione da Angelo Branduardi.
Tutte le cosmogonie nascono dal suono, dalla musica, e musica e spiritualità nascono insieme: la musica è sacra.
Tuttavia l’occidente rinnova la musica mistica tradizionale, inventando l’accordo, la musica tonale, la progressione armonica: in occidente si introduce una nuova tecnica musicale, che si evolve, grosso modo, da Bach a Wagner.
Questo percorso avviene solo in Europa: nel resto del mondo la musica rimane ferma: per Branduardi questa è una frattura che, purtroppo, toglie alla musica la sua funzione di linguaggio universale. Per noi europei non è concepibile la musica sacra come la ascoltano un islamico o un buddhista, mentre per loro è non è concepibile ascoltare il Requiem di Mozart se non è morto nessuno.
Fortunatamente l’incontro non si è concluso con le pessimiste, ma forse realistiche, parole di Branduardi, bensì con il coro Ars Nova e i canti religiosi della tradizione bizantino-slava.
Ciao, sono uno dei massimi esperti in Pianura Padana viventi. Ero presente all’incontro di cui parli, il più presente possibile. Branduardi ha fatto una figura barbina. Ti invito a visitare il mio sito. Un cordiale saluto,
Enzo
Io temo di non essere uno dei massimi esperti viventi di nulla, soprattutto di musica.
Non mi sembra comunque che Branduardi abbia fatto una figura barbina: è stato brusco, certo, e decisamente poco accomodante.
Tuttavia non lo definirei, come scrivi sul tuo sito, “appena più sfumato di un leghista” (non sono esperto consocitore della lega, ma per due settimane ho avuto una Padania Fest sotto casa, e la differenza con Branduardi è tanta).
Io credo nel dialogo, e proprio in quanto credo nel dialogo credo anche nelle differenze: senza conoscere le differenze, fermandosi ad un generico, e secondo me molto pericoloso, “siamo tutti uguali”, non c’è vero dialogo.
Branduardi ha sottolineato le differenze, e ha mostrato un certo scetticismo sul dialogo: si può tranquillamente accettare il primo e rifiutare il secondo.
È forse semplicistico dire che solo l’occidentale ascolta il Requiem di Mozart quando non c’è il morto, però mi sembra sottolineare una giusta differenza.