Cartesio invita a compiere un gesto all’apparenza semplice, in realtà terribilmente complesso: dubitare di tutto. La vera conoscenza non può che iniziare dal dubbio radicale e totale: immaginare che tutte le nostre conoscenze siano sbagliate, una mera illusione, un inganno.
La realtà potrebbe essere radicalmente diversa da quella che, intuitivamente, ci appare: il mondo potrebbe non esistere, il nostro corpo potrebbe essere molto diverso o, addirittura, potrebbe non esserci affatto.
Per quanto assurde possano sembrare queste ipotesi, occorre prenderle in considerazione, valutarle.
Già Agostino iniziava la sua riflessione con un simile scetticismo radicale, ed è curioso che la filosofia medievale e quella moderna, così diverse, prendano avvio dallo stesso gesto.
Per entrambi i filosofi, lo scetticismo radicale è insostenibile, appunto perché non tutto può essere illusione e inganno. Lo scettico dubita, e nell’atto stesso del suo dubitare vi è la certezza di una conoscenza non dubitabile: la coscienza della propria esistenza. Lo scettico, dicendo “io dubito”, indica già nel suo dire il limite del suo dubitare. “Si fallor, sum”, se mi inganno, sono.
Agostino e Cartesio concedono allo scettico la liceità del loro dubitare: mettere in discussione tutta la conoscenza rimane l’atto iniziale della ricerca filosofica, atto che dovrà venire superato, ma al quale non si può rinunciare per la ricerca della conoscenza.
Charles Sanders Peirce, nel 1868 (Some Consequences of Four Incapacities), critica questo gesto iniziale: non si può iniziare lo studio della filosofia con il dubbio universale. Il dubbio cartesiano è un dubbio di facciata: non possiamo realmente dubitare dell’esistenza del mondo.
Un dubbio è lecito se e solo se vi sono delle ragioni per dubitare.
L’inizio della filosofia non è dunque il dubbio radicale. Il gesto iniziale è, al contrario, lo studio della natura condotto con tutto il bagaglio di pregiudizi, infondate conoscenze e pratiche che Cartesio pretendeva di spazzare via con una massima.
Questi pregiudizi non sono chiaramente intoccabili, anzi: accadrà sicuramente, nel corso degli studi, di trovare ottime ragioni per dubitare e infine abbandonare le false conoscenze. Ma questo avverrà, appunto, perché si sono trovati dei motivi per dubitare.
Riassumendo, si potrebbe dire che Cartesio ci invita a dare il nostro assenso solo se abbiamo buoni motivi per farlo, altrimenti di dubitare di tutto; Peirce invece ci invita a credere in tutto, a meno non ci siano buone ragioni per dubitare.
Per lo studio della natura, ha indubbiamente ragione Peirce. Lo stesso forse non si può dire per le relazioni umane: meglio essere cartesiani e dubitare di tutto e di tutti, soprattutto durante la campagna elettorale.