Il termine scarlatto, in origine, indicava un tipo di tessuto pregiato, forse una lana molto fine. Un tessuto così prezioso, ovviamente, veniva tinto impiegando esclusivamente materiali altrettanto preziosi: era quindi usuale vedere il tessuto color cremisi, ossia tinto con il raro estratto dell’insetto chermes.
Col tempo il termine passò dall’indicare un tessuto di colore indeterminato al riferirsi ad un colore specifico, quello che ancora adesso è chiamato rosso scarlatto.
Questa evoluzione di senso è solitamente citata come semplice curiosità, priva di qualsiasi utilità: vana curiositas. In effetti per comprendere il significato attuale di vermiglio non è necessario conoscere estratti di insetti o tessuti pregiati: la chimica e la moda hanno modificato le pratiche di tintura e con esse anche il significato dei colori. Se si vuole apprendere cosa è oggi il colore è decisamente meglio dimenticare gli insetti chermes o i lapislazzuli dai quali estrarre, attraverso complicati procedimenti, l’azzurro oltremare.
Ma questa archeologia del sapere, queste esercizio etimologico è davvero così inutile come sembra? È davvero soltanto oziosa ricerca fine a se stessa?
Conoscere il passato può indubbiamente essere utile: per lo storico dell’arte i pigmenti utilizzati da Giotto o da Tiziano possono costituire una preziosa chiave d’accesso per la comprensione di alcuni aspetti delle loro opere. Ma gli storici sono pochi, e la storia può anche essere un pericolo per la conoscenza, quando il passato schiaccia od offusca il presente.
Eppure l’etimologia un pregio lo ha: mostrare la dimensione dinamica e genetica del sapere. L’origine può non indicare l’attuale o il futuro, la genesi può non agevolare la comprensione del presente, ma sicuramente mostra che il mondo non è statico, che il presente è solo un momento destinato a mutare.