È uscito il numero di febbraio di Recensioni Filosofiche.
Come sempre, tutte le recensioni sono interessanti. Io segnalo, in particolare, la recensione di Dario Scognamiglio a Marcello Frixione, Come ragioniamo; L’evoluzione in quattro dimensioni di Eva Jablonka e Marion Lamb, recensito da Flavio D’Abramo e, infine, la nota (che è qualcosa di più di una recensione) di Jamila Mascat a La “vera politica”. Kant e Benjamin: la possibilità della giustizia di Massimiliano Tomba.
Ti posso dire che la recensione del libro di Jablonka e Lmab mi ha convinto poco o punto. Secondo me ci sono parecchie forzature e forse qualche errore. Chi è Flavio D’Abramo che l’ha scritta?
Marco
Non ho capito se ti ha convinto poco la recensione o il libro.
Le forzature potrebbero anche essere volute: la rivista si occupa di filosofia, e si rivolge a un pubblico di filosofi; discorso diverso, ovviamente, per gli errori.
Cos’è che non ti ha convinto della recensione? Flavio D’Abramo
Premetto che rileggendolo adesso quel “Chi è Flavio D’Abramo?” mi sembra parecchio cafone, e me ne scuso. Allora, la recensione. Mi sembra troppo tranchant, se devo essere sincero, e molte affermazioni possono, se non spiegate, essere capite male dai filosofi non proprio espertissimi di biologia. Per esempio nessuno può pensare che “nessuna mutazione sarebbe indotta dall’ambiente”, per la semplice ragione che la maggior parte delle mutazioni sono indotte dall’ambiente, in un modo o nell’altro. Raggi cosmici, agenti mutageni eccetera sono la casa principale di cambiamenti di basi nel Dna. Nè mi pare che Lamb e Jablonka abbiano fatto questa affermazione nel libro. Allo stesso modo dire che molte mutazioni sono “semi-guidate” dall’ambiente non risponde al pensiero delle autrici. E non lo dico solo io, ma anche Eva Jablonka, con cui ho parlato a lungo nell’ultimo Darwin day. Come possa una mutazione essere semi-guidata mi è poco chiaro, peraltro. Ci sono, è vero, alcune zone del genoma che sono più o meno suscettibili di cambiamenti, ma ciò non vuol dire guidare una mutazione. Come esempio di poca chiarezza, faccio notare che Darwin non può aver mai ipotizzato le mutazione (non fisicamente, voglio dire) ma ha solo considerato indispensabile per la sua teoria un meccanismo di cambiamento. Sono certo che tu volessi dire questo, ma la frase così detta è poco chiara.
Il dogma centrale della biologia molecolare inoltre non è quello che dici tu, ma quello che leggi qui: “http://en.wikipedia.org/wiki/Central_dogma_of_molecular_biology”
Cioè che l’informazione che si trasferisce dal Dna alle proteine non può tornare indietro; non che “il corso dello sviluppo e dell’evoluzione degli organismi sarebbe già scritto nel dna”. L’evoluzione è totalmente indipendente dal Dna, se non come sistema di registrazione delle informazioni ambientali che può essere modificato ad ogni passaggio evolutivo. Non c’è nessuna violazione del dogma quando il Dna è modificato; basta inserire un gene estraneo, come avviene nel caso dei retrovirus. Inoltre anche Watson e Crick sapevano benissimo che durante lo sviluppo le informazioni del Dna possono essere modificate – lo sono proprio dall’ambiente in cui nasce e si sviluppa l’embrione; altrimenti tutti i gemelli monovulari sarebbero assolutamente identici. Che poi,come dici oltre, il livello epigenetico dipenda dal sistema comportamentale e simbolico mi giunge nuova. Significa che anche alcune specie di animali piuttosto semplici (non ricordo le piante, ma potrebbe essere) hanno livelli comportamentali e simbolici che influiscono sull’epigenesi. Mi sembra improbabile.
Ci sono molti altri piccoli e grandi errori (a mio modesto parere) che inficiano un po’ la recensione stessa tanto da far sembrare le autrici delle eretiche antidarwiniane. Non lo sono per niente, e non hanno fatto altro che allargare il campo di interesse della teoria dell’evoluzione attraverso meccanismi mai ipotizzati prima, e che rientrano appieno nella teoria dell’evoluzione. La ampliano, la integrano e la completano. E questo, ti ripeto, me l’ha detto Eva Jablonka. Può darsi, anzi sono certo, che la mia conoscenza della biologia non sia vastissima, ma secondo me la recensione non rende ragione delle novità del libro, forzandone eccessivamente alcune conclusioni.
Ciao
Marco
Mi tiro fuori dal dibattito: le mie conoscenze di biologia (e del libro in questione) non mi permettono di dire nulla di sensato. Aspetto la risposta di D’Abramo e intanto ringrazio tutti e due per il bel confronti di idee che, spero, ne verrà fuori.
Caro Marco ti ringrazio per l’occasione che mi dai e ti rispondo con piacere. Penso che i tuoi commenti siano affrettati e infondati. Capisco benissimo: il tono della mia recensione è in molti tratti criptico e ciò può dar luogo a fraintendimenti. Per un’interpretazione corretta è necessario che il contesto del quadro, quello che tu metti sullo sfondo, per intenderci, venga invertito con ciò che invece costituisce il fuoco, il punto d’attenzione del discorso, del tuo discorso. La recensione sarebbe dovuta essere arricchita con moltissime citazioni, che ho fatto, parafrasando le autrici, ma che non ho virgolettato. Di questo mi scuso e ne rendo subito giustizia!
Veniamo al dunque: quando Darwin ipotizza una variazione, delle specie, degli organismi, la correla ai cambiamenti ecologici, ma lascia ai posteri capire quale siano i meccanismi più fini con cui l’ambiente agisce direttamente causando mutazioni. Quello che poi è stato recuperato da gran parte della biologia del Novecento è solo una delle tante ipotesi di Darwin, ovvero che gli organismi e l’ambiente siano legati dai concetti di variazione casuale e adattamento e la prima parte del libro di Jablonka e Lamb parla di questo, di questo fraintendimento. Vedi ad esempio lo schema a p. 50 del libro di Jablonka e Lamb e ti accorgerai che il Neo-darwinismo della Sintesi Moderna ipotizza che all’origine della variazione ci siano le mutazioni casuali e che dinamiche di interazione tra organiso ed ambiete, come quelle spiegate attraverso l’ipotesi dei caratteri acquisiti, siano impossibili!
A rinforzare la visione secondo cui i caratteri acquisiti non sono possibili si aggiunge la teoria di Weissmann. Jablonka e Lamb scrivono: “Accettare il fatto che l’ambiente giochi un ruolo nell’indurre la variazione non indebolisce, ovvio, in alcun modo la teoria darwiniana dell’evoluzione per selezione naturale. L’eventualità che si verifichi l’insorgere di una nuova variazione in risposta alle condizioni di vita fa aumentare, anzi, la quantità della varianza, nonché lo scopo della selezione naturale. Darwin sarebbe rimasto, senza dubbio, sbalordito nel sentire che, a parere di molti biologi contemporanei, le opinioni di Lamarck sul conto dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti contraddicono i presupposti fondamentali della sua teoria della selezione naturale” (p. 18)
Ti assicuro che ce ne sono molte di persone, biologi scienziati, politici e quanti altri, che pensano che nessuna mutazione è indotta dall’ambiente, ovvero che le mutazioni sono casuali e che è l’ambiente, poi, quando le mutazioni sono già (casualmente) avvenute, a selezionarle. Watson e Crick, nel momento in cui stabiliscono la loro teoria di flusso unidirezionale dal DNA al RNA alle proteine, “il dogma centrale” per intenderci, ipotizzano, insieme a Weissmann, proprio che le variazioni strutturali avvengano in maniera casuale, ovvero che il “programma genetico” sia variabile solo in virtù della casualità, attraverso “errori di trascrizione”. In questo senso è il DNA a programmare sviluppo ed evoluzione e le variazioni genetiche sono variazioni casuali. Sono stati molti a indicare l’ipotesi del “dogma centrale” come ipotesi preformista. L’articolo di Crick del 1970, apparso su Nature, cerca di rimediare alle ipotesi del 1958. Dunque alla luce di oggetti teorici come i retrovirus, che tu citi, nell’articolo del ’70 Crick ipotizza che l’informazione possa andare dal RNA al DNA.
Ciò che è scritto nel DNA, secondo Crick, sarebbe dunque determinante della forma e del metabolismo degli organismi, ma in questa ipotesi viene tralasciato tutto il contesto. Il concetto di auto-replicazione di Crick mostra proprio questo limite, così come mostra un’incapacità nello spiegare la relazione tra fattori ambientali e crescita cellulare (vedi il bell’articolo di Barry Commoner del 1968 apparso in Nature). Nell’ipotesi del ’58 non si prendeva in considerazione la modificazione del DNA da parte del RNA. Così come nell’ipotesi del ’70 non vengono prese in considerazione molte delle dinamiche ambientali che possono modificare l’espressione genetica, se non quelle legate ai retrovirus. E qui ci sarebbe da fare un’ampia parentesi di come gli strumenti usati in alcuni laboratori informatici, per scopi bellici, abbiano influito costitutivamente per la formulazione del concetto di Dna come codice cifrato (vedi il libro di Lily Kay del 2000, Who Wrote the Book of Life?). A pagina 191 del nostro libro c’è una piccola traccia, in cui le due autrici mostrano come lo stesso Crick, con l’articolo del ’70 abbia voluto abbandonare il l’ipotesi teorica del “Dogma centrale”. Conrad Hal Waddington ebbe la geniale e pionieristica idea di usare la genetica come metodo analitico a supporto dell’epigenesi (di qui il termine epigenetica) e mostrò come un cambiamento di temperatura poteva modificare l’espressione genetica nella Drosophila. Autori come John Cairns o Conrad Waddington hanno dunque reso giustizia di alcune ipotesi darwiniane dimenticate. Le Nostre hanno scritto tutto.
Che il sistema culturale influisca direttamente o indirettamente su quello biologico è ovvio, ma a volte sono proprie le cose ovvie, quelle sotto il nostro naso, a risultare invisibili. Jablonka e Lamb in questo sono davvero brave e dedicano a ciò le ultime pagine del libro (da pagina 354 a pagina 440). Esistono aspetti comportamentali come l’alimentazione, l’accoppiamento o la migrazione che possono cambiare l’espressione genetica. L’alimentazione, la migrazione, l’accoppiamento, il linguaggio non sono forse delle dinamiche comportamentali?
L’epigenetica deriva direttamente dall’epigenesi e con l’epigenesi si cercava di opporre l’ipotesi preformista secondo cui noi saremmo esseri predeterminati dal Dna o da qualsiasi altra cosa. Dunque con l’epigenesi si cercavano di integrare, nell’evoluzione e nello sviluppo, gli aspetti storici, geografici e contingenti . In qualche modo si potrebbe sostenere, che in un’accezione illuminata del termine, l’epigenesi possa dissolvere la dicotomia natura/cultura. Secondo me Jablonka e Lamb sono in questo quadro teorico.
Quando Marcello Buiatti scrive nella prefazione del libro che sono “eresie” penso lo faccia con tutta la benevolenza! La scienza è pieni di rompicapo teorici e Jablonka e Lamb raccolgono le ipotesi fatte negli ultimi due secoli per render spiegazione di tali rompicapo. Ad esempio lo studio delle variazioni mostruose, la teratologia, quella di William Bateson o di Geoffroy Saint-Hilaire, è stato uno degli ambiti più importanti per poter rendere possibili l’estensione della teoria darwiniana e per arricchire il concetto di ereditarietà in senso epigenetico e meno statico. Così come lo studio comportamentale di cui scrivono Jablonka e Lamb, indica in che modo il nostro comportamento, la nostra organizzazione sociale, il nostro linguaggio, influiscano più o meno direttamente sui nostri geni. Jablonka e Lamb ne parlano in maniera esaustiva, ad esempio citando e spiegando, molto bene, i lavori di Baldwin. Molti animali hanno sistemi comportamentali e culturali che vengono tramandati attraverso meccanismi,. ad esempio l’imitazione. Di nuovo, Jablonka e Lamb dedicano parte del libro a ciò.
Anche in questo intervento, così come nella recensione, molte delle cose a cui mi riferisco sono nel libro. Dunque mi scuso se non ho sempre usato citazioni complete e virgolettate
Insomma, come dici tu, il libro contiene molte novità, e per rendere ragione al libro e alle autrici, che sono più darwiniane di gran parte dei biologi darwinisti, ti consiglio di leggerlo!