Dopo la pausa estiva, è uscito il numero di settembre di Recensioni Filosofiche.
Invece di segnalare alcune recensioni, ne riporto alcuni passaggi:
La tesi fondamentale dell’autore è che l’essenza del paesaggio e le modalità di rapportarsi ad esso raccontano qualcosa di essenziale per la comprensione dell’essere umano: la geografia è in questo senso un mezzo con cui approcciare un interrogare di tipo ontologico e filosofico poiché una delle dimensioni caratterizzanti dell’essere umano è lo spazio e dunque l’abitare nello spazio, anche quando avviene in modo inquieto o addirittura violento.
Carlotta Vianello a proposito di Jean-Marc Besse, Vedere la terra. Sei saggi sul paesaggio e la geografia.
La tesi del libro, ben espressa nel suggestivo capitolo finale No hay camino< , è che la vicenda iniziata con accenti tragici nel pensiero greco e che racconta che è «meglio non essere nati», non essere, essere niente o al più morire presto (se il responso che il Sileno dà al re Mida il quale gli aveva chiesto quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo), prosegue nel pensiero veterotestamentario con la figura di Abramo; la quale segue il pensiero concettuale del giudaismo su un percorso orizzontale e rettilineo fino all'incontro col punto di catastrofe, e si inoltra infine in una ascesa impervia e faticosa, trasformandosi nella figura di Cristo che di fronte alla disperazione del pensiero greco classico propone invece la speranza, per dirla ancora con le parole di Primo Levi, «che l'autunno sia lungo e mite». Eppure la fede e l'obbedienza sono cose pericolose perché possono giustificare cose terribili, dall'andar vicino a praticare il sacrificio umano da parte di Abramo alla legittimazione dell'olocausto da parte dei carnefici fedeli e obbedienti perinde ac cadaver al loro Führer.
Francesca Rigotti a proposito di Umberto Curi, Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche.
Si approda dunque al “concetto naturale di mondo”, ciò che ognuno di noi non può fare a meno di esperire (anche soltanto nel riconoscimento di trovarsi immerso in ciò che è altro da sé), indipendentemente dalle forme dell’esperire stesso, dalle interpretazioni, dai ricordi, dalle impalcature intellettuali (per quanto legittime e valide) costruite a posteriori. È una dimensione prescientifica e preteoretica quella che Husserl cerca di recuperare, nella convinzione che il sapere dell’uomo non sia in tutto e per tutto un prodotto della storia e della cultura contingente, ma che si fondi al contrario su un nocciolo di oggettività che rivendica il suo “essere prima” nei confronti del soggetto.
Paolo Calabrò A proposito di Edmund Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo, a cura di Vincenzo Costa.