Due modeste, ed inutili, proposte riguardo i referendum.
I referendum abrogativi, almeno in Italia, richiedono la partecipazione al voto della maggioranza assoluta degli aventi diritto.
Una giustificazione realistica di questa condizione potrebbe essere la seguente: ogni legge discussa ed approvata dal parlamento ha una legittimità popolare mediata, dovuta alle elezioni politiche che lo hanno eletto; per abrogare una legge occorre quindi dimostrare che, su quel particolare argomento, il parlamento non rappresenta correttamente coloro che lo hanno eletto; pertanto solo se la metà più uno degli aventi diritto si reca alle urne è possibile abrogare la legge.
Il ragionamento è valido unicamente se il parlamento è eletto con una partecipazione molto vicina al 100 %: chi non vota, infatti, non sceglie nulla, e quindi non conferisce alcuna legittimità popolare al parlamento eletto.
La prima modesta e inutile proposta è che il quorum venga calcolato a partire dal numero di votanti alle ultime elezioni politiche.
La seconda proposta riguarda la legittimità dei voti espressi nel referendum.
Le leggi vengono approvate dai parlamentari e non direttamente dai cittadini perché si suppone che il comune cittadino non abbia il tempo e le risorse per acquisire le conoscenze necessarie a comprendere e discutere una legge, mentre il parlamentare, essendo questo il suo lavoro, sì.
Visto che il referendum mette nelle mani dei cittadini il potere di abrogare o approvare una legge, non sarebbe del tutto insensato introdurre una verifica della competenza. Nulla di troppo complicato: giusto una decina di domande a scelta multipla riguardo la legge e le modifiche che si vogliono approvare. Se almeno la metà delle risposte è corretta, allora il voto è valido, altrimenti non va conteggiato.
Sarei favorevole a introdurre un meccanismo simile anche per le votazioni in parlamento, se non fosse per il rischio di paralizzare completamente il potere legislativo.
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