L’uomo ha bisogno di regole.
Questa affermazione non è da intendersi in senso politico o sociale, non vuole, e neppure può, implicare alcun giudizio sull’anarchia o su altri regimi politici. Essa è semplicemente una constatazione concettuale.
L’uomo ha bisogno di regole: nella nostra vita di tutti i giorni, non possiamo prescindere dalle regole, non è possibile non avere aspettative su ciò che accadrà e dividere gli eventi in conformi e non conformi alle regole, in corretti e non corretti.
A fare da sfondo, e da fondamento, a queste regole, e quindi anche alla distinzione tra conforme e non conforme, vi è la regolarità. La natura, il mondo si presenta a noi con una certa regolarità: davanti a noi si presenta una moltitudine ordinata o ordinabile di somiglianze, di richiami, di strutture regolari.
Il mondo non è disordinato, ma ha una struttura.
Il problema è che l’avere una struttura, un ordine, non è compatibile con la continuità. Il motivo è evidente: perché vi sia una somiglianza o una differenza, in altre parole una relazione qualsiasi, vi devono essere delle entità discontinue, isolate tra di loro. Altrimenti abbiamo un tutto continuo e indistinguibile, una sorta di melma metafisica.
Come conciliare questa banale considerazione con l’affermazione «Natura non facit saltus», la natura non fa salti? Regole, regolarità e continuità sono necessariamente incompatibili tra di loro?
Anche se la natura non fa salti, questi ultimi li può sempre fare l’uomo, o meglio i suoi concetti. La continuità è interrotta da delle discontinuità introdotte successivamente.
La domanda che si pone adesso è: dove vengono a cadere queste interruzioni forzate? Sono arbitrarie o in un qualche modo sono prefigurate nella continuità della natura? In altre parole: i nostri concetti sono gli unici possibili, gli unici plausibili oppure sono completamente arbitrari?