Pensare ad un libro è cosa radicalmente diversa da prenderlo in mano e iniziare a sfogliarlo. Nel primo caso si ha a che fare con un pensiero, una idea, nel secondo con un oggetto materiale, fisico.
È la differenza cartesiana tra res extensa e res cogitans, tra le cose estese nello spazio e nel tempo e le cose pensate e pensanti.
Per Cartesio vi è una etereogeneità assoluta tra i due generi di esistenze: un abisso separa i pensieri e le cose. Il problema è comprendere come questo abisso venga colmato, perché indubbiamente viene colmato: gli uomini sono anima ma anche corpo (più complicata la questione per gli animali, i quali potrebbero, sostiene Cartesio, essere solo corpo privo di anima e intelletto).
Come è possibile che due entità concettualmente differenti si influenzino a vicenda? È questa l’aporia di Cartesio: o non vi è alcun collegamento tra le due entità, e quindi l’influenza è una semplice illusione, oppure le due sostanze non sono radicalmente diverse come si è portati a pensare.
La via d’uscita a questo problema è data una semplice e banale esperienza: il raffreddore. Quando si hanno le vie respiratorie occluse, un po’ di febbre e il classico cerchio alla testa che attenua tutte le sensazione, appare chiara la certezza di non essere spirito e corpo, ma che il corpo è lo spirito e lo spirito è il corpo. Non vi sono due sostanze distinte, non vi possono essere: la pesantezza che si avverte agli arti è la stessa che si avverte ai pensieri, non si ha la sensazione, come si dovrebbe avere se Cartesio avesse ragione, di una mente lucida disturbata da un corpo malato.
Se nel 1650 Cartesio fosse guarito dalla polmonite che invece lo uccise, e avesse ragionato un attimo sulla sua esperienza, forse avrebbe riscritto alcuni capitoli della sua filosofia.