Apprendo da Psicocafè che il luogo in cui si vota può influenzare le scelte del votante, se questo non ha idee chiare sull’argomento. In poche parole, «l’ambiente intorno a noi è pieno di “suggerimenti impliciti” che possono orientare il nostro comportamento».
Tenendo soprattutto presente che in alcune nazioni esiste il voto per corrispondenza, e quindi l’ambiente di voto è terribilmente permeabile e poco controllabile, proporrei di dare ai votanti una ulteriore possibilità di voto: “indifferente” o “nessuna idea”. Così, giusto per evitare che una persona contribuisca alla vittoria di un partito semplicemente perché le pareti sono state dipinte di azzurro e c’è una bandiera italiana in fondo al corridoio…
Sono TOTALMENTE d’accordo.
Non tanto per le manipolazioni psicologiche, quanto perché ridurrebbe il rischio di brogli.
E darebbe una dignità maggiore a chi sceglie “bianco”.
@Weissbach: A questo storia dei brogli non ci avevo pensato…
“Indifferente” credo che non sarebbe ammissibile, per ragioni costituzionali ma soprattutto LESSICALI.
C’è il diritto-dovere al voto, non ad esprimere un’opinione o una “preferenza su progetti politici“.
E l’indifferenza è appunto il contrario di avere un’opinione.
Il contrario di voto in un organo collegiale è infatti l’astensione.
Questa quasi sempre è una forma di protesta, un volersi tenere fuori dalle fazioni o un modo per affermare che il singolo o l’intero organo non hanno competenza sulla questione.
Non indica quasi mai indifferenza.
L’articolo linkato è molto interessante per l’aspetto sondaggistico, ma non rileva che il voto non è affatto una rilevazione statistica.
La differenza non sta tanto nella vastità del campione/ corpo elettorale, ma in ciò che le due attività presuppongono.
L’opinione non presuppone nulla e può legittimamente nascere da semplici simpatie o esperienze personali. Il voto invece dovrebbe essere l’apice e l’espressione di una vasta attività politica a monte: senza questo presupposto, il voto perde qualsiasi senso.
ciau!
@eno: Hai (purtroppo per me) un talento formidabile a beccare i punti deboli dei miei post.
Mentre scrivevo avevo in mente la situazione svizzera, dove la maggior parte delle votazioni riguarda referendum e dove spesso la vittoria è determinata da pochi voti. Poi la cosa mi era sembrata troppo locale, e sono passato alle più comuni elezioni.
È appunto questo il problema: tutta questa attività politica c’è?
Sì, c’è.
Possiamo discutere sulla qualità della politica, ma indubbiamente c’è.
Noi siamo abituati a partiti di massa, con sedi stabilite e fini discussioni serali sulla supercazzolaconscappellementoadestra. L’assenza di questi momenti fa pensare ad una assenza di attività politica, erroneamente.
Ci sono circoli culturali, comitati civici, discussioni tra amici, formazione personale del singoli su libri e giornali, assemblee comunali.
Alcune delle discussioni più interessanti le ho sentite in osteria.
Non so a Milano, ma a Trieste sono un luogo classico di incontro e dibattito… certo, dibattito tra un élite di etilisti come me, ma cosa c’avete contro l’élite? 😛
Poi, molte associazioni con finalità apolitiche, dagli scout al circolo cinefilo, comportano interesse per la cosa pubblica.
La domanda piuttosto è quanto il sistema elettorale e il sistema di partiti riesca a catturare questa attività di sottobosco evitando che finisca nel famoso qualunquismo.
La velleità dei “partiti leggeri” è proprio questa, e mi pare che uno dei due – quello per cui non ho votato – per ora fallisca il risultato.
ciao! Eno
@eno: Ma al momento del voto, conta di più il sottobosco o gli altifusti? (domanda retorica, non devi rispondere)