È uno degli stereotipi più diffusi sulle popolazioni primitive: in decine, forse centinaia, di racconti, film, fumetti e barzellette l’esploratore occidentale, evoluto, intelligente, scatta una fotografia e subito viene imprigionato dagli involuti selvaggi, convinti che quel clic della reflex in una qualche maniera rubi la loro anima.
Non ho idea se sia mai accaduto, nella realtà, qualcosa di simile: le migliaia di fotografie che si trovano nei musei di antropologia suggeriscono che il fenomeno, se è esistito, è stato comunque marginale. Rimane comunque l’immagine, diffusa nell’immaginario collettivo della narrativa, del primitivo e ignorante selvaggio che non comprendendo la fotografia è convinto che in quell’immagine ci sia la sua essenza.
Questo atteggiamento, che con boriosa superiorità viene o veniva attribuito ai primitivi, mi pare essere diffuso proprio tra noi evoluti occidentali. Ovviamente non per quanto riguarda la fotografia, ma il DNA.
Non voglio sottovalutare i problemi etici e giuridici di un database con le impronte genetiche (di parte) della popolazione, e neppure le questioni etiche, giuridiche ed economiche legate alla brevettabilità di materiale genetico ricavato anche da esseri umani. Semplicemente, mi sembra che alcuni, nell’affrontare questi temi, considerino il test del DNA come i selvaggi delle barzellette considerano le fotografie: un qualcosa che ruba la nostra essenza, quasi che nel genoma ci sia scritto tutto, da quanto siamo alti al voto di laurea, e l’impronta genetica riportasse tutto questo. Similmente, porre la questione – importante e controversa – della brevettabilità dei geni nei termini “Chi ti possiede” lascia intendere che la tua essenza è nel DNA e qualcuno la sta rubando. Come la reflex ruba l’essenza scattando fotografie.
Dipende da chi prende il mio DNA. Se è la mia cassa malati, piuttosto preferisco che si prenda l’anima.
@Marco Cagnotti: Quella ce l’ha già… (i test genetici predittivi in mano alle assicurazioni sono un altro aspetto decisamente problematico)
Sicuro che le maggiori preoccupazioni siano per il dna umano? Io vedo in giro molta più agitazione per i brevetti sui vegetali manipolati. E’ comprensibile. Se fotografi il mio campo di un raro tipo di farro, verrà al più uno scatto da pubblicare su Instangram. Se analizzi il mio grano, lo modifichi per renderlo sterile e diventi il solo fornitore di quelle sementi, beh…
@Eno: Mi sembra che quando si tratta di DNA umano la faccenda dei brevetti scateni fobie maggiori che nel caso di farro e altro.
È vero che oggi sono più diffusi i problemi legati agli alimenti, soprattutto vegetali. Ma aspetta che arrivino in massa sul mercato i farmaci genetici e ne riparliamo…
Mettila anche in termini di privacy di specie. Se qualcuno acquisisce miei dati sensibili personali, limita la mia libertà e se è scaltro può usarli contro di me anche se i dati sulla mia salute, sui miei famigliari e sulle mie relazioni sociali definiscono solo un 10% della mia vita. Lo stesso vale per dati inerenti alla specie umana: il busillis non è tanto chi sa ma cosa fa di quelle conoscenze.
Trovo che l’esempio della fotografia sia radicalmente errato: la fotografia dà per lo più informazioni su quel che appare, il DNA dà più informazioni sul funzionamento.
@Eno: Privacy di specie? Tenendo conto che anche gli scienziati sono homo sapiens, il concetto mi risulta problematico. E poi per la privacy personale fa stato la volontà della persona, per la privacy di specie? Questo mi sembra un parallelo radicalmente errato, non il mio – tra l’altro ho paragonato l’atteggiamento verso fotografia e analisi del DNA, non direttamente fotografia e DNA.