If you have a message, call Western Union.
Un’altra variante recita “Just write me the comedy. Messages are for Western Union”. Tutte frasi attribuite, pare erroneamente, al produttore cinematografico Samuel Goldwyn (quello della Metro-Goldwyn-Mayer, per intenderci), il cui senso – anche se oggi Western Union non si occupa più di telegrammi e andrebbe sostituito, chessò, con WhatsApp o Telegram – è chiaro: non inserire messaggi politici dove non ci vanno.
Lì si parlava di film, con l’idea che “the public wants entertainment, not a lecture”, mentre io vorrei parlare di votazioni.
Tra pochi giorni si terrà il referendum sulle trivelle – sì, lo so, in realtà non si tratta di trivellare, ma di sfruttare concessioni già esistenti anche dopo la scadenza, ma il problema, almeno il mio problema, non riguarda né la disinformazione né le difficoltà a comprendere gli aspetti tecnici del tema in votazione.Riguarda, più banalmente, uno degli argomenti impiegati nel dibattito.
In molti hanno criticato la strategia dell’astensionismo, e in effetti puntare al fallimento per mancato raggiungimento della maggioranza di votanti è – per quanto legittimo – quantomeno furbo se non addirittura scorretto. Ma è, appunto, legittimo, e della cosa si è discusso in abbondanza, per cui passiamo oltre.
Passiamo cioè a quello che secondo alcuni sarebbe un buon motivo per votare anche se il referendum fallirà: per mandare un messaggio al governo. Ora, sono convinto che mandare messaggi sia cosa buona e giusta; tuttavia, non credo che il referendum sia un buon modo per farlo. Non dico di utilizzare i telegrammi – anche perché temo non esistano più –, e neppure Whatsapp, Telegram o Twitter (per quanto quest’ultimo piaccia molto a diversi politici). Penso invece a lettere aperte, a campagne di protesta, a petizioni e a manifestazioni. Tutti magnifici mezzi per comunicare quali sono le opinioni di una parte più o meno grande e più o meno organizzata della cittadinanza – che poi il politico di turno tenga conto di queste opinioni, è un altro discorso.
I referendum, però, no, non servono a mandare messaggi ma a cambiare le leggi. Poi è ovvio che l’esito – qualunque esito – assuma anche un significato politico oltre che giuridico, è inevitabile ma è un fatto secondario rispetto al cambiamento delle norme.
In conclusione, votate sì, votate no, votate stocazzo o non votate: basta che abbiate presente di non stare scrivendo una lettera al presidente del consiglio.
Il messaggio è agli italiani. Chi pensa che ci abbiano azzittito non conti su di me!
Questo non l’avevo sentito (ma non mi pare cambiare la sostanza).
In che senso dici che sarebbe un messaggio alla popolazione? Del tipo “ribellatevi!” o più “io non ci sto”?
“io non ci sto” mi ricorda un tizio che aveva coprto lo stesso ruolo di quello che oggi raccomanda l’astensione. Potrebbe essere un “conteggio” di quelli che non concordano con l’eutanasia renziana/berlusconiana della democrazia partecipativa sostituita dalle ormai abusate logiche del sondaggio che, se un tempo poteva essere scientifico, ora è scientifico che il suo scopo non è : scoprire la verità… per cui rigirerei la domanda a chi fa, diffonde o utilizza i sondaggi e parla di democrazia: se hai bisogno di mandare un messaggio … fai un sondaggio (dai che la chiusa è carina).
Credo di aver capito. Nobile scopo, la democrazia partecipativa, ma perché usare un referendum che riguarda concessioni estrattive?