Dopo varie vicissitudini che non stiamo qui a ripercorrere, Lemuel Gulliver si trova nel paese di Luggnagg, dove gli abitanti del luogo gli raccontano degli Struldbrugs o immortali: esseri che, per qualche misterioso motivo, non possono morire.
Gulliver si lascia affascinare dall’esistenza di questi uomini immortali e si dilunga in un dettagliato elenco di cose che farebbe, se solo gli fosse toccato il privilegio di nascere immortale.
Questa la risposta di un abitante di Luggnagg:1
“Tutto il programma d’esistenza” mi obiettò codesto personaggio, “da voi formulato nell’ipotesi di godere dell’immortalità, quale avete esposto or è poco, appare assurdo e del tutto irragionevole, perché presuppone un’eterna giovinezza e una forza e una salute inalterabili. Ma il nostro desiderio era di sapere come avreste trascorsa una vita immortale senza sfuggire agli inconvenienti della vecchiaia; non già di sapere se sareste stato contento di godere un’eterna gioventù unita a una perpetua salute. Infatti tanto a Balnibarbi quanto al Giappone ho potuto osservare un perpetuo desiderio di allontanare il momento della morte, anche quando sembrava che dovesse tardare troppo; e ho visto che nessuno moriva volentieri, a meno che non vi fosse costretto da torture o dolori straordinari.”
E fece appello all’esperienza da me fatta in Inghilterra e negli altri paesi da me visitati per confermare la verità dell’osservazione.
Spiegatomi così il suo punto di vista, egli mi descrisse gli Struldbrugs, dicendomi che assomigliavano ai mortali e vivevano com’essi fino ai trent’anni. Poi cadevano in una specie di nera malinconia, che andava sempre crescendo fino agli ottant’anni; giunti alla qual età, non solo erano sottoposti a tutte le malattie, le miserie e le debolezze solite, ma erano tanto perseguitati dall’idea tormentosa dell’eterna durata di codesto stato di miseria, da non potersi in alcun modo consolare. Sicché non soltanto diventavano testardi, burberi, avari, queruli, pettegoli, ma non erano più capaci d’amicizia e ripudiavano ogni tenero affetto familiare, che non sopravviveva mai alla seconda generazione.
Divorati di continuo da smanie e desideri inappagabili, invidiavano sopra tutto i vizi dei giovani e la morte dei vecchi. Allo spettacolo di quelli s’affliggevano di non poterne godere anche loro; e quando assistevano a un mortorio maledicevano la propria sorte e rinfacciavano alla natura d’aver loro negato la speranza di soccombere, entrando nell’eterna quiete.Essi perdevano la memoria di qualunque avvenimento, o tutt’al più si ricordavano, e molto all’ingrosso, di ciò che avevano visto o imparato da bambini o da giovani. Ma per assodare i veri particolari d’un fatto era molto più prudente fidarsi della comune tradizione che della memoria degli Struldbrugs.
Coloro che vaneggiavano e avevano perduto ogni ricordo erano ancora i meno infelici, perché eccitavano la generale compassione, ed erano esenti da quegli odiosi difetti che abbondavano negli altri Struldbrugs.”Allorché un immortale” aggiunse il mio interlocutore, “si sposa con una immortale, il matrimonio viene disciolto, per una legge dello stato, quando il più giovane dei due coniugi ha raggiunto gli 80 anni; già che si ritiene giusto che un disgraziato, costretto a campare, senza suo desiderio né colpa, per l’eternità, non debba anche per colmo di sventura vivere insieme a una donna egualmente immortale.
“Giunti a quel limite d’età, essi sono considerati come morti civilmente, i loro averi passano agli eredi, e viene loro concessa una semplice pensione alimentare. I poveri sono mantenuti dal pubblico erario. È vietato loro d’occupare un posto di fiducia, d’esercitare una professione lucrativa, di comprare, di vendere, di concorrere alle aste; e la loro testimonianza non è ammessa nei tribunali civili né penali.
“Quando arrivano a 90 anni, perdono i denti e i capelli; non sentendo più il gusto dei cibi, mangiano e bevono senza provar piacere. Le loro malattie si prolungano senza più aggravarsi né dar luogo a guarigione. Nel parlare, essi dimenticano i nomi dei più comuni oggetti e dei più intimi amici; non possono neppure dilettarsi dei libri, non ritenendo a memoria le prime parole d’un periodo fino alla fine del medesimo, e così anche quest’ultimo svago è loro vietato. Inoltre, essendo la lingua luggnagghiana molto proclive a cambiare, gli Struldbrugs nati ed educati in un secolo stentano a capire gli uomini nati nei secoli seguenti, e duecento anni dopo non possono più sostenere una conversazione coi propri bisnipoti, sicché si trovano sempre come stranieri nella loro patria stessa.”
“Tutto il programma d’esistenza” mi obiettò codesto personaggio, “da voi formulato nell’ipotesi di godere dell’immortalità, quale avete esposto or è poco, appare assurdo e del tutto irragionevole, perché presuppone un’eterna giovinezza e una forza e una salute inalterabili. Ma il nostro desiderio era di sapere come avreste trascorsa una vita immortale senza sfuggire agli inconvenienti della vecchiaia; non già di sapere se sareste stato contento di godere un’eterna gioventù unita a una perpetua salute. Infatti tanto a Balnibarbi quanto al Giappone ho potuto osservare un perpetuo desiderio di allontanare il momento della morte, anche quando sembrava che dovesse tardare troppo; e ho visto che nessuno moriva volentieri, a meno che non vi fosse costretto da torture o dolori straordinari.”E fece appello all’esperienza da me fatta in Inghilterra e negli altri paesi da me visitati per confermare la verità dell’osservazione.Spiegatomi così il suo punto di vista, egli mi descrisse gli Struldbrugs, dicendomi che assomigliavano ai mortali e vivevano com’essi fino ai trent’anni. Poi cadevano in una specie di nera malinconia, che andava sempre crescendo fino agli ottant’anni; giunti alla qual età, non solo erano sottoposti a tutte le malattie, le miserie e le debolezze solite, ma erano tanto perseguitati dall’idea tormentosa dell’eterna durata di codesto stato di miseria, da non potersi in alcun modo consolare. Sicché non soltanto diventavano testardi, burberi, avari, queruli, pettegoli, ma non erano più capaci d’amicizia e ripudiavano ogni tenero affetto familiare, che non sopravviveva mai alla seconda generazione.Divorati di continuo da smanie e desideri inappagabili, invidiavano sopra tutto i vizi dei giovani e la morte dei vecchi. Allo spettacolo di quelli s’affliggevano di non poterne godere anche loro; e quando assistevano a un mortorio maledicevano la propria sorte e rinfacciavano alla natura d’aver loro negato la speranza di soccombere, entrando nell’eterna quiete.Essi perdevano la memoria di qualunque avvenimento, o tutt’al più si ricordavano, e molto all’ingrosso, di ciò che avevano visto o imparato da bambini o da giovani. Ma per assodare i veri particolari d’un fatto era molto più prudente fidarsi della comune tradizione che della memoria degli Struldbrugs.Coloro che vaneggiavano e avevano perduto ogni ricordo erano ancora i meno infelici, perché eccitavano la generale compassione, ed erano esenti da quegli odiosi difetti che abbondavano negli altri Struldbrugs.”Allorché un immortale” aggiunse il mio interlocutore, “si sposa con una immortale, il matrimonio viene disciolto, per una legge dello stato, quando il più giovane dei due coniugi ha raggiunto gli 80 anni; già che si ritiene giusto che un disgraziato, costretto a campare, senza suo desiderio né colpa, per l’eternità, non debba anche per colmo di sventura vivere insieme a una donna egualmente immortale.”Giunti a quel limite d’età, essi sono considerati come morti civilmente, i loro averi passano agli eredi, e viene loro concessa una semplice pensione alimentare. I poveri sono mantenuti dal pubblico erario. È vietato loro d’occupare un posto di fiducia, d’esercitare una professione lucrativa, di comprare, di vendere, di concorrere alle aste; e la loro testimonianza non è ammessa nei tribunali civili né penali.”Quando arrivano a 90 anni, perdono i denti e i capelli; non sentendo più il gusto dei cibi, mangiano e bevono senza provar piacere. Le loro malattie si prolungano senza più aggravarsi né dar luogo a guarigione. Nel parlare, essi dimenticano i nomi dei più comuni oggetti e dei più intimi amici; non possono neppure dilettarsi dei libri, non ritenendo a memoria le prime parole d’un periodo fino alla fine del medesimo, e così anche quest’ultimo svago è loro vietato. Inoltre, essendo la lingua luggnagghiana molto proclive a cambiare, gli Struldbrugs nati ed educati in un secolo stentano a capire gli uomini nati nei secoli seguenti, e duecento anni dopo non possono più sostenere una conversazione coi propri bisnipoti, sicché si trovano sempre come stranieri nella loro patria stessa.”
Un utile contributo alle riflessioni sull’immortalità recentemente innescate.
- Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, Parte terza, capitolo X [↩]
Comunque l’immortalità teoricamente è possibile. L’immortalizzazione delle cellule, sia tumorali che staminali, apre spiragli. Bisogna risolvere il problema della specializzazione e della proliferazione in assenza di substrato, che sembrano comportare anche la perdita dell’immortalità. Quella sulle staminali è una via.
Ma eticamente, sarebbe auspicabile e/o condivisibile?
E’ questo che chiedo.
@Paopasc: la domanda che pongo è:
Essere vivi comporta il “dispiego” di energia, qualora questa diventi indisponibile (leggi esplosione del Sole) cosa significa?
In soldoni siamo talmente antropocentrici che definiamo “immortale” una esistenza di pochi milioni di anni ! 😎
Quella degli Struldbrugs di Gulliver non è immortalità, bensì “La notte dei morti viventi”.
Più che la quantità d’esistenza, di fronte a un’autentica immortalità, il problema diviene la sua qualità: come impiegare tanto tempo?
Ultimamente si sta parlando di immortalità in modo molto generico. Vorrei ricordare che quello di immortalità non è un concetto univoco. Tempi e culture differenti hanno elaborato idee diverse di immortalità. E’ noto che per i greci che si attenevano alla religione olimpica gli umani non potevano assolutamente diventare immortali a meno che non fossero il risultato di incroci fra umani e dei. Gli dei stessi erano immortali solo perché l’uso dell’ambrosia li rendeva tali. Ciò fa supporre che se questa fosse venuta a mancare sarebbero morti anche loro. Altri greci però non credevano a questo tipo di immortalità (o solo a questa) ma a quella dell’anima personale in un modo per certi versi simile a ciò che credono oggi i buddisti: una serie continua di reincarnazioni che si può interrompere soltanto con un impegno ascetico di purificazione interiore, sia intellettuale che passionale, da intraprendere durante la vita terrena. Devo dire che questa visione dell’anima/psiche umana mi affascina talmente che mi piace pensare ad una sua qualche ragionevole plausibilità, in particolare nella sua versione pitagorico-platonica.
Tutt’altra cosa è l’immortalità descritta da Swift. La sua geniale ed ironica descrizione degli immortali mette a nudo qual’è il tipo di immortalità immaginata dalla borghesia mercantile (e cristiana) inglese della sua epoca e, suggerisco io, quale piacerebbe anche a molti contemporanei. Si tratta infatti semplicemente della possibilità di non morire mai cioè di un’eterna vecchiaia, anche a costo di sopportare tutti i problemi fisici che questa comporta ed i vizi tipici della mentalità dell’homo economicus moderno(avarizia, invidia, smanie e desideri insoddisfatti, incapacità di provare sentimenti di affetto ed amicizia disinteressati).
E c’è poi l’immortalità auspicata dai cristiani “ortodossi” e, con alcune differenze importanti, dai musulmani. Ed il percorso per arrivarci è una corsa ad ostacoli che ti deve impegnare per tutta la vita e dall’esito molto incerto, anche perché il giudice supremo è particolarmente esigente sui risultati da te ottenuti e l’immortalità finale potrebbe essere quella da vivere nella dannazione.
E l’elenco dei tipi di immortalità pensata dall’essere umano potrebbe continuare.
@—>Filopaolo
“Devo dire che questa visione dell’anima/psiche umana mi affascina talmente che mi piace pensare ad una sua qualche ragionevole plausibilità, in particolare nella sua versione pitagorico-platonica.”
Te ne fornisco una versione laica e materialista: prova a pensare che l’organizzazione che presiede all’esistenza d’un organismo sia solo strumentale alla ricezione d’un onda vitale esterna rispetto all’organismo stesso; una sorta d’energia già presente nell’universo, non in grado di funzionare senza un contenitore, per captare la quale è necessario uno strumento a gradi differenziati di sofisticazione, dai prioni agli esseri umani. L’esempio più appropriato che mi viene in mente è quello del televisore. Siamo nel campo delle pure ipotesi, ma non ti sembra altrettanto plausibile di – ad esempio – una teoria delle stringhe o del multiverso, che del pari poggiano entrambe su pure supposizioni?
@paopasc: Vedo alcune controindicazioni all’immortalità (al di là della classica “è contro natura”, che non significa nulla).
@il più cattivo: Ci sono sempre le dimensioni parallele.
@lector: L’eternità è un sacco di tempo per leggere.
@Filopaolo: Un interessante abbozzo di fenomenologia dell’immortalità, il tuo. Interessante per come il concetto di immortalità si lega – giocoforza – a quello di identità.
@lector: purtroppo (per me) non ho la preparazione scientifica adeguata per poter apprezzare il tuo post. Molti anni fa ho letto “Il tao della fisica” ma confesso di averci capito pochino. Ha qualcosa a che fare con quello che hai scritto? Se no, qualche altro consiglio di lettura? Ciao
@—>Filopaolo
Scusa, ma mi stai:
a) prendendo sul serio?
b) prendendo per il c ….?
Il livello di preparazione scientifica necessario per confutare il mio “post” (presumo che tu ti riferisca in realtà al commento #5) è lo stesso che serve per commentare la partita di ritorno tra Udinese ed Ascoli, valida per i quarti di finale del torneo “Pierfido Berlusconi”, dopo aver scolato quattro o cinque litri di fantastico Raboso del Piave, in una conviviale cena tra vecchi compagni di scuola, a base di baccalà alla vicentina, polenta, salsicce e radicchio rosso di Treviso DOP, con gran finale cantato in onore della “Gigiotta”.
Un abbraccio.
😀 😀 😀
Mi sono riletto il “post” 😎 di lector, ovvero il commento #5 (il che mi rimanda ad un favoloso mambo… ma non divaghiamo!).
In effetti a cercare di analizzarlo si fa più fatica che a capirlo. L’esempio potrebbe essere fulminante ma rischia di essere deviante… mi spiego.
Premessa: parto da considerazioni scientifiche e non umaniste, per cui gli umanisti possono evitare la lettura del seguente pezzo che potrebbe risultare indigesto o addirittura offensivo.
—
parto, non dite che non vi avevo avvisato….
… dagli al corvo che vuole dire a Dumbo che la piuma non lo aiuta a volare….
—
Paragonare l’essere umano (ovvero i mebri della specie homo spapiens sapiens) ad un televisore soffre di un problema: Il televisore è un oggetto finalistico, l’uomo, forse, ancora non è dimostrato che lo sia. L’unico che goda della mia fiducia e che ha provato a sostenerlo è Richard Dawkins in “Il gene egoista”, ma persino lui ritiene che tale visione (ovvero l’uomo come scatola di sopravvivenza dei geni) possa essere troppo “finalistica”. (o forse questa è solo una mia valutazione delle sue considerazioni).
E’ quindi, effettivamente, una visione romantica (anche se materialista) l’idea della “scatola” che riceve l’essenza. Da un punto di vista scientifico non mi risulta che vi sia nulla, ma sarei ben lieto di valutarne condizioni diverse.
Le teorie del multiverso e delle stringhe sono appassionanti, yawn, ma, mi sembra che al momento siano attaccate a ipotesi ben lungi dall’essere accettate (mica è il darwinismo)… per cui cercare di paragonarsi a loro mi sembra che non sia un appliglio sufficientemente sicuro.
Un Sorriso
@—>Il Più Cattivo
In effetti, non era l’uomo – ossia i membri della specie homo sapiens sapiens come prodotto ultimo – il destinatario della mia supposizione, bensì qualsiasi forma organica.
Premessa maggiore: supponiamo che effettivamente esista una sorta d’energia che definiamo vitale esogena rispetto alle forme biologiche (osservo incidentalmente che, allo stato attuale della conoscenza, non siamo neppure in grado di dire cosa in effetti sia l’energia gravitazionale, ma solo di misurarne gli effetti; perciò, supporre che esista anche un’energia vitale è lecito);
Premessa minore: constatiamo che esiste una differenziazione tra sistemi organizzati, ad esempio, secondo i legami del carbonio e quelli non organizzati o inorganici;
Conclusione: l’organizzazione che trasla gli elementi della tavola periodica dall’inorganico all’organico (o biologico) è una strategia evolutiva (del tutto casuale) che consente di captare quell’energia vitale che abbiamo supposto esistere nella nostra premessa maggiore.
Sillogismo sgangherato a parte, ho affermato che una simile ipotesi non soffre di alcun complesso d’inferiorità rispetto ad altre, parimenti fantasiose e campate in aria, come la teoria delle stringhe o quella del multiverso.
Una chiosa a quanto sopra detto, potrebbe essere la constatazione che gli organismi competono tra loro al fine di migliorare la propria capacità di sfruttamento di tale ipotetica energia vitale.
Sorriso ricambiato. 🙂
@lector: Carissimo. Condivido molte delle perplessità ed obiezioni, però la tua premessa è indubbiamente generosa, forse troppo. Il problema dell’energia vitale è l’essere carica principalmente di interpretazioni e poco di misurazioni. Non comprendo comunque se pensi che, al di là della fantasia, che apprezzo, pensi che possa portare un contributo alla comprensione della vita, dell’universo (o tutte le altre cose la cui risposta è 42)
Un Sorriso
P.S. Oggi ho avuto notizia che il papa di un bimbo della scuola dei miei figli ci ha lasciato all’età di 41 anni. Vorrei dedicare un pensiero laico alla sua memoria ma non possedendo le capacità di Dawkins non competerò con lui nel ricordo che fece di DNA. Spero mi sia consentito di lasciare un’altro sorriso alla sua famiglia e tutti i suoi cari.
@lector: Fino all’ipotesi dell’uomo come una specie di ricetrasmittente di energia vitale ci ero arrivato, ma ti sembra così strano che qualcuno non conosca la teoria delle stringhe?
Comunque ci sarebbe da spiegare come mai tutta questa energia vitale è così frammentata in tanti organismi invece di essere tutta raccolta insieme. A che scopo la moltitudine piuttosto che l’unità? Queste sono le domande che si fanno gli “umanisti”. E scusate se è poco in confronto alle domande della scienza.
@–>Filopaolo
Ma io mica la conosco la teoria delle stringhe! 🙂 Almeno non da addetto ai lavori: ne ho solo sentito parlare a livello divulgativo e, per quel che ho potuto comprendere in merito, si tratta di un’idea molto fantasiosa.
@–>Il più Cattivo
E’ solo un’ipotesi di lavoro “brainstorming”. A volte risulta opportuno stravolgere radicalmente tutti i presupposti ai quali siamo abituati, allo scopo di contrastare l’inerzia perniciosa insita nei luoghi comuni.
P.S. Mi unisco al dolore di quella famiglia, di cui comprendo molto bene il dramma. Purtroppo l’esperienza insegna che è sempre peggio per coloro che restano, piuttosto che per quelli che se ne vanno.
Un abbraccio.