Vedo che tra i tanti elogi al lavoro di divulgazione scientifica di Piero Angela, spunta anche qualche critica per l’approccio eccessivamente pedagogico e il suo “positivismo ingenuo”. Insomma, la scienza può spiegare tutto e la divulgazione spiega la scienza agli ignoranti, trasformandola di fatto in una sorte di religione.
Ritengo che, anche in occasioni funebri, sia giusto ricordare sia i pregi sia i difetti delle persone e, insieme alle virtù della chiarezza e della pacatezza, un breve accenno a semplificazioni eccessive, sia scientifiche sia più filosofico-sociologiche, l’ho fatto anch’io, nell’articolo in ricordo di Piero Angela che ho scritto per il quotidiano ticinese laRegione. Sono inoltre convinto che la comunicazione della scienza non possa ridursi a fare da cassa di risonanza a quel che dicono gli scienziati, ma – per certi versi analogamente a quello che fa certa critica con cinema, letteratura, arte… – evidenziare punti di forza e punti deboli dei lavori, spiegare il contesto sociale e culturale oltre che scientifico e anche denunciare le storture del sistema di produzione della scienza.
Ora, questo accadeva di rado a Superquark, almeno per quel che riesco a ricordare (guardo pochissima televisione) e il fatto di essere in un media generalista e di dedicarsi in buona parte a scoperte scientifiche consolidate conta fino a un certo punto. Ma questo è solo in parte il Piero Angela che ho conosciuto io: certo c’erano alcuni speciali televisivi (il primo che ricordo è La macchina meravigliosa che adesso so riprendere una metafora meccanicistica sulla quale ci sarebbe molto da discutere), ma di Angela ho apprezzato soprattutto i libri. E penso in particolare a Viaggio nel mondo del paranormale (recentemente ristampato dal CICAP in versione aggiornata) nel quale quel lavoro di critica è presente, immagino anche per la necessità di prendere le distanze da molte ricerche pseudoscientifiche.
C’è poi il Piero Angela che ha scritto il breve saggio Le vie della divulgazione scientifica per la Treccani, dove si legge il seguente passaggio a proposito dell’importanza del metodo:
Anche questo è il ruolo della divulgazione: spiegare l’etica che è alla base della correttezza scientifica, e che deve sempre essere rispettata.
Quindi sì, c’è una sorta di “positivismo ingenuo”, ma forse è meno ingenuo di quel che può sembrare.
Ho parlato di critiche restando sul generico: una riflessione interessante, anche se non completamente condivisivile, viene da Andrea Zhok su Facebook che riproduco integralmente nel caso il link sparisca:
La morte del giornalista Piero Angela – riposi in pace – con le reazioni laudative che vi sono succedute credo gettino una luce interessante su alcune dinamiche culturali in questo paese.
Ricordo di aver visto qualche volta alcune trasmissioni di “divulgazione scientifica” promosse dal nostro, di cui apprezzavo il garbato eloquio, la brillante capacità espositiva, provando al contempo spesso disagio di fronte ai contenuti proposti. Al tempo mi dicevo che, dopo tutto, nonostante l’estrema inappropriatezza di far passare quanto veniva esposto per “avvicinamento alla scienza”, tuttavia, magari, una loro funzione socialmente utile quelle trasmissioni ce l’avevano, almeno nell’avvicinare a colpi di suggestioni qualche giovane all’indagine scientifica. Non escludo che qualcuno ne abbia davvero tratto ispirazione avviando un percorso di studio fecondo.
Tuttavia l’eleganza espositiva di cui sopra era il correlato di un’operazione di “narrativizzazione” della pratica scientifica che ne copriva e celava costantemente la natura. La scienza veniva trasformata in una “narrazione autorevole ed univoca”, che separava con un bel taglio netto la verità scientifica, immaginata come un monolite, suggestivo ma inscalfibile -dall’ignoranza, dal pregiudizio, dall’irrazionalità del senso comune.
Si trattava insomma di una replica, ad un secolo di distanza, del più ingenuo paradigma positivista, in cui tutta la mutevolezza nel tempo dei paradigmi scientifici, tutte le enormi questioni di sociologia della scienza (che definisce quali tesi una società storica è disposta a testare, prima ancora di accettarle), tutta la complessità metodologica delle singole scienze nei singoli campi, tutti i poderosi problemi posti dalla pluralità inconciliabile delle varie concettualità scientifiche veniva spazzato via, per generare una storiella dogmatica, abbastanza accattivante da risultare suggestiva.
Col tempo il disagio che provavo di fronte a quel modo di “divulgare” mi si è chiarito. Di fatto, presentata in quel modo (beninteso, inevitabile per il mezzo televisivo) la scienza si riduceva ad una selezione di risultati, deprivati del processo di cui erano risultati, che venivano enunciati come una nuova mitologia. Gli “scienziati” diventavano una sorta di classe sacerdotale, omogenea e concorde, che esponeva il Verbo.
Naturalmente non bisogna pensare neanche per un momento che tutto ciò sia “colpa di Piero Angela”, che faceva in modo professionale ciò che gli veniva chiesto di fare. Tuttavia quel tipo di trasmissioni incarnavano in modo esemplare una tendenza potente ed esiziale, manifestatasi a partire dagli anni ’50, una tendenza riduzionistica e semplificatoria, ma anche ricostruttiva di una nuova mitologia, una nuova dogmatica, una nuova verità rivelata, spacciata per “scienza”.
È alla luce di quel processo che abbiamo iniziato ad immaginare che i detentori della verità-sul-bene-delle-società fossero gli “scienziati economici”, e più di recente che i detentori della verità sulla morale e la salvezza pubblica dovessero essere dei “medici”.
È alla luce di quel processo che l’economia è stata ridotta ad un singolo filone dominante, proposto come il Vero, e similmente che una gestione pandemica altamente politicizzata è stata trasformata nell’unica possibile verità sul bene pubblico, da difendere anche con la censura, la minaccia, la punizione dei dissenzienti.
Ciò che inizialmente poteva presentarsi come benevola semplificazione con intenti divulgativi è diventata la costruzione di una nuova dogmatica, un monstruum che ignora nella maniera più spettacolare cosa sia la realtà della pratica scientifica. E questa dogmatica è divenuta il sostegno di “autorevolezza” ad una politica, che la sua di autorevolezza l’aveva persa da tempo.
La condizione in cui ci troviamo è paradossale: siamo in una delle fasi più astratte, scollegate dalla realtà e sistematicamente falsificate della storia, in cui le mitopoiesi giornalistiche hanno sostituito ogni straccio di rapporto autentico col mondo. E questa epoca della grande falsificazione, dell’irrazionalità imperante, viene presentata come il trionfo della ragione scientifica.
Confesso di avere un timore che in questo momento può sembrare prematuro, ma che invece vedo abbastanza prossimo. Quando gli ipnotizzati dagli stilemi pseudoscientifici che si sono imposti in occidente negli ultimi settant’anni (e negli ultimi due anni in modo iperbolico) comprenderanno l’estensione e la gravità delle falsificazioni di cui sono caduti vittime nel nome della “scienza”, ad uscirne distrutta e screditata non sarà la strumentalizzazione dogmatica di cui sopra, ma proprio la scienza senza virgolette, l’appello alla ragione e alla dimostrazione.
E così passeremo da un danno grave ad un danno ancor più grave.