L’uomo non vive nel nulla. Il mondo c’è, e questo lo si può affermare con la solida certezza della vita: sono le nostre azioni, ossia la prassi, a testimoniarlo e, se ce ne fosse bisogno, a dimostrarlo.
Il solipsista, colui che sostiene esistere veramente solo se stesso, è confutato dal semplice fatto che argomenta, sostiene e discute le sue idee: queste idee hanno senso solo se vi è un mondo che non dipende da me.
Il solipsista attraversa la strada con prudenza, perché sa che rischia di venire investito: comportamento assurdo, se le automobili sono sue proiezioni mentali.
La domanda non è quindi se c’è un mondo, ma cosa c’è nel mondo.
Le risposte a questa domanda costituiscono una disciplina filosofica molto seria che si chiama Ontologia.
Le automobili fanno indubbiamente parte del mondo: esistono anche se non lo vogliamo, come ognuno può sperimentare ai caselli autostradali.
Anche i solipsisti esistono: per quanto si possa pensare o sperare che nessuno abbia sostenuto idee tanto assurde, può capitare di incontrarne uno o di leggerne le gesta nei testi di filosofia.
Il ponte sullo stretto di Messina invece non esiste (ancora?). Anche i più ottimisti sulla realizzazione dell’opera devono prendere il traghetto, altrimenti finiscono in mare rischiando di annegare.
Questi esempi ci sono di aiuto per una prima caratterizzazione dell’esistenza: qualcosa esiste se può deludere la nostra speranza sulla sua non esistenza o la nostra ignoranza sulla sua esistenza; non esiste se può deludere la nostra speranza sulla sua esistenza.
L’ontologia così concepita è una sorta di telenovela: una lunga storia di delusioni esistenziali.