Un’idea di cancel culture che mette in luce il passato

Il New York Times dedica un lungo articolo all’Università di Strasburgo o meglio alla Reichsuniversität Straßburg che ne prese il posto durante il nazismo (l’Alsazia venne annessa alla Germania nel 1940).

La posizione dell’università, ha spiegato lo storico della medicina Christian Bonah, era un semplice “non è la nostra storia”, il che è certamente vero: possiamo infatti dire che l’Université de Strasbourg era in esilio in un’altra città e la Reichsuniversität era un’altra istituzione che ne occupava gli spazi. Tuttavia dopo il ritrovamento, nel 2016, di alcuni resti anatomici di vittime del nazismo l’università ha avviato un’indagine che si è conclusa con la pubblicazione di un rapporto di oltre 500 pagine. Stando a quanto dichiarato dal presidente dell’università Michel Deneken, il rapporto mostra un quadro più sfumato, mettendo in luce i legami tra la Reichsuniversität e la comunità alsaziana e la stretta collaborazione tra l’università e il vicino campo di concentramento di Natzweiler-Struthof. Insomma, la Reichsuniversität è parte della storia dell’Università di Strasburgo e bisogna farci i conti, ricordandola insieme all’eroica Université de Strasbourg.

L’articolo ricorda anche che nel 2015 un libro sosteneva che l’università conservasse ancora resti anatomici di ebrei, ottenendo la smentita da parte di “furious school officials”. Ora, non sono sicuro che tutto questo possa rientrare, e in che modo, nel dibattito sulla cancel culture, termine utilizzato per riferirsi a molte cose diverse. Mi pare in ogni caso un esempio virtuoso di come approcciarsi al passato, senza nascondere nulla ma mettendo in luce tutte le sue sfaccettature.

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