Nel 1693 William Molyneux pose un interessante quesito all’amico John Locke: una persona cieca dalla nascita, in grado di riconoscere attraverso il tatto un cubo e una sfera, sarebbe in grado, una volta ricuperata la vista grazie a una operazione, di riconoscere quale è il cubo e quale la sfera senza toccare i due solidi?
La domanda non è da poco: impariamo ad usare i nostri sensi oppure si tratta di una consocenza innata? Come interagiscono tra di loro i sensi diversi?
La filosofia ha affrontato questo problema molte volte: si tratta di una storia molto lunga e interessante raccontata, tra gli altri, da Marco Mazzeo in Storia naturale della sinestesia.
Anche la scienza ha affrontato questo problema, ed è bello leggere, su Psicocafé, con quanta semplicità l’ha risolto:
Si è a lungo creduto che chi fosse stato cieco durante il “periodo critico” della plasticità neurale infantile avrebbe avuto poche speranze di ritornare a vedere, anche se il meccanismo periferico della visione fosse stato, in seguito, ripristinato. E’ il caso ad esempio di bambini con cataratta che possono essere sottoposti ad interventi chirurgici di rimozione.
Sul numero di dicembre di Psychological Science ricercatori del MIT hanno scoperto che una donna di 32 anni, che era stata cieca durante l’infanzia e aveva ricevuto un trattamento oculistico efficace a 12 anni, ha una capacità di visione equiparabile a un soggetto normale in una batteria di numerosi e diversi test visivi.
Questo caso suggerisce che il cervello possa essere ancora malleabile in età più tarda e che valga la pena tentare cure oculistiche anche in quei bambini, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, giudicati oggi troppo grandi per trarne giovamento.
Non sono comunque sicuro che una simile ricerca risponda completamente alla domanda di Molyneux.
Si potrebbe rispondere completamente alla domanda di Molyneux, affrontandone tutti gli aspetti? Non lo so. Forse non è possibile, e quindi il problema sarebbe la domanda. Ma, ancora una volta, bisognerebbe capire cosa eventualmente non funziona nella domanda di Molyneux.
Ciao!
Ti anticipo che questo blog (per estetica e contenuti) è molto bello.
Se posso accennare una proposta: sono convinto che il passo citato non fornisca una risposta alla domanda. Infatti la possibilità o meno di riacquisire memoria “materiale” (ovvero il fatto che gli strumenti necessari all’atto della visione riprendano a funzionare dopo una vita di inattività) non comporta ne’ l’impossibilità, ne’ tantomeno la necessità dell’idea innata di spazio. Anche nel caso superi il test di Molyneux.
Se una persona , ad esempio, non ritornasse a vedere dopo l’operazione potrebbe comunque mostrare di conoscere l’idea dello spazio ad esempio nel linguaggio (sono convinto che esista piú di un caso). Allo stesso tempo peró potrebbe darsi che questa persona usi il linguaggio correttamente solo in maniera meccanica, come un gioco.
Al contrario, se la persona tornasse effettivamente a vedere (e che superasse il test) potrebbe darsi che questo dipenda sia dal fatto che ha sempre posseduto l’idea di spazio, ma anche che l’abbia imparata attraverso la visione.
È un po’ come dire che la personalità non esiste perchè, qualunque cosa sia, si può stravolgere con una pastiglia. Non é che penso sia falso, è solo che non penso sia argomentabile in base alla mancanza di una chiara relazione mente-corpo.
Grazie per i complimenti (e per la segnalazione sul tuo sito).
Sono convinto anche io che il passo citato non risponda alla domanda, o meglio che ne risponda ad un’altra. Ma sono anche convinto che non si possa prescindere da quella risposta.
L’interrogativo di Molyneux ha un enorme pregio: riconduce una tematica concettuale ad un discorso pratico. Ha anche un enorme difetto: non ci dice come affrontare il discorso pratico…